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Diamo una sedia al Self – come trasformare le due-sedie in tre-sedie

La terapia della Gestalt è stata il mio primo amore. Ricordo ancora quando andavo dal mio terapista a Roma nel 2000 quando andare in terapia, in Italia, era qualcosa che faceva solo chi era “pazzo”.

Ora vivo nel Regno Unito, dove ho completato la formazione per diventare uno psicoterapeuta della Gestalt. Sono abbastanza privilegiato da essere fluente in inglese e, quindi, sono stato in grado di accedere e completare la formazione in IFS nel Regno Unito. Ora sono uno dei pochi terapisti che possono offrire IFS in italiano. La terapia della Gestalt è abbastanza diffusa in Italia e, al momento, psicoterapeuti italiani fronteggiano grosse barriere nell’accedere a conoscenze base dell’IFS per via della mancanza di libri e di formazione in italiano.

Voglio condividere il mio percorso nell’integrazione di semplici concetti dell’IFS nell’uso della tecnica gestaltica delle due sedie, che io ho rinominato “tre sedie”. Vorrei apportare il mio contributo alle comunità IFS e Gestalt e, nel mio cuore, spero che qualche collega italiano acceda a questo articolo. Lo stesso si applica a tutti coloro i quali non possono accedere a informazione di buona qualità sull’IFS nella loro lingua madre. Lo faccio anche per tutti quei paesi che, come l’Italia, gioverebbero enormemente dall’applicazione di IFS e dalla disponibilità del modello nella loro lingua madre.

Il mio terapista a Roma aveva sempre una sedia vuota nel suo studio. Molte “cose” si sono sedute su quella sedia. A volte c’era mia madre, a volte mio padre, altre volte quei ragazzi che mi trattavano male a scuola. Ma non erano solo persone ad occupare la sedia. Spesso erano parti di me che erano in opposizione l’un l’altra, come la parte di me che non voleva più studiare quella laurea in ingegneria e la parte che, invece, voleva continuare a tutti i costi. La tecnica delle due sedie era molto forte. Sentendomi al sicuro con il mio terapista, grazie a quelle sedie, delle parti di me che non avevano mai potuto esprimersi trovavano la loro voce. Parole che non credo avrei mai avuto il coraggio di dire emergevano durante le sedute.

Dopo più di 20 anni, mi ritrovo a vivere a Londra, essendo diventato uno psicoterapeuta della Gestalt e avendo, nell’anno appena trascorso, insegnato terapia di Gestalt in una delle scuole di formazione più rinomate di Londra. Da anni avevo facilitato i miei clienti ad usare le sedie vuote. Tuttavia, in un modo che non riuscivo a comprendere, non tutti i clienti trovavano la tecnica delle due sedie efficace. Com’è possibile che la tecnica che più mi aveva aiutato non funzionasse su queste persone?

Mi immersi nella letteratura della Gestalt sperando di trovare informazione al riguardo, ma l’argomento “due sedie” o “sedia vuota” era solo trattato come una delle tecniche più famose che Fritz Perls, il fondatore della Gestalt, aveva dimostrato negli anni ‘50. Che io sappia, c’è solo uno studio effettuato sull’efficacia del metodo delle due sedie e, inoltre, non ho mai trovato più di un paio di paragrafi che descrivano come la tecnica debba essere eseguita. Per motivi complessi, forse dovuti alla complicata evoluzione della terapia della Gestalt nei decenni, la tecnica delle due sedie è rimasta, al tempo stesso, uno dei modi di lavorare della Gestalt più noti ed uno degli aspetti meno indagati.

Quando ho cominciato a leggere i libri di Dick Schwartz, ho scoperto che il fondatore dell’IFS aveva usato la tecnica delle due sedie come punto di partenza per sviluppare IFS. Dick Schwartz ha fatto, secondo me, ciò che i praticanti della Gestalt non hanno fatto: ha studiato in maniera sistematica e critica la tecnica delle due sedie.

Voglio chiarire che la tecnica delle due sedie può essere usata in due modi: uno modo è quello di mettere qualcuno sulla sedia vuota (genitore, amico, capo, ecc.) e stabilire un dialogo con la persona immaginaria; l’atro modo consiste nell’offrire un posto sulla sedia vuota ad una parte della persona. Questo articolo si focalizza sulla seconda modalità. Spiegherò come la tecnica delle due sedie possa essere aggiornata per diventare la tecnica delle tre sedie quando qualcuno ha due parti dento di sé che hanno idee opposte.

 

La prima modifica delle due sedie: portare le sedie “dentro”

Ancor prima di cominciare la formazione in IFS avevo notato che non c’era bisogno di una sedia fisica per fare il lavoro delle due sedie. Il linguaggio delle parti è così comune che lo usavo normalmente con i miei clienti quando avevano, per esempio, una parte che voleva lasciare il lavoro ed un’altra parte che era terrorizzata alla sola idea di dimettersi.

In un modo simile a Dick Schwartz, scoprì che le persone erano perfettamente in grado di avere questo dialogo internamente. A quei tempi ancora non conoscevo il concetto di “molteplicità della mente” e, soprattutto, del “Self”. Il modo gestaltico di gestire la tecnica delle due sedie era di invitare la persona a dar voce ad entrambe le parti in conflitto mentre il terapista assiste, con tutta la sua presenza, il dialogo diretto tra queste due parti e supporta il cliente nel processo.

Io, dunque, invitato il cliente a consentire alla parte che voleva lasciare il lavoro di esprimersi pienamente una volta che era sulla sedia. La parte aveva tempo e spazio per esprimere la sua sofferenza, tristezza e frustrazione causata dal lavoro. Dopo di ciò, chiedevo al cliente, ritornato alla sedia precedente, di dare voce all’altra parte, quella che aveva paura delle problematiche economiche e sociali dovute alla fine del lavoro. A quel punto invitavo le due parti a discutere tra di loro.

Devo confessare che non avevo un’idea chiarissima di cosa dovessi fare come terapista. Mentre seguivo il dialogo (spesso lite) tra queste parti, a volte assistevo ad una risoluzione del problema, ma, a volte, c’era una riaffermazione del conflitto interiore che esisteva da anni. Io davo considerazione ed attenzione al blocco cercando di esprimere compassione per la difficoltà del conflitto, sperando che le cose cambiassero per il meglio.

Nonostante i miei sforzi, non riuscivo a trovare nella letteratura Gestalt una spiegazione dettagliata e rigorosa del perché la tecnica funzionasse molto in alcuni casi e non in altri, finché non ho incontrato IFS.

 

L’introduzione dei concetti di molteplicità della mente e del Self

Solo quando ho completato la formazione in IFS ed ho imparato il modello in profondità ho potuto trovare la risposta che cercavo per migliorare la mia amata tecnica delle due sedie (a questo punto applicabile sia esternamente che internamente).

La molteplicità della mente ci insegna che non siamo un blocco unico di pensieri ed emozioni. Siamo composti da parti che hanno le loro sensazioni fisiche, pensieri, emozioni e memorie. Queste non sono astrazioni, che usiamo per spiegare il nostro funzionamento, ma vere e proprio sotto-personalità che, tutte insieme, compongono il nostro sistema.

Una delle idee più utili dell’IFS è che possiamo imparare a identificare le nostre parti e scegliere se dare loro espressione o “parlando per” la parte (per esempio dicendo “Una parte di me vuole lasciare il lavoro”) o tramite “unione” (“blending” in inglese) con la parte, dando alla parte il permesso temporaneo di rappresentare tutto il sistema (in questo caso il cliente dice “Io voglio lasciare il lavoro”).

Durante tutti i miei anni di pratica della tecnica delle due sedie, avevo praticamente chiesto ai miei clienti di “unirsi” alle loro parti, prima con l’una e poi con l’altra a turno. In questo modo, ciò che potevo ottenere era limitato alla creazione di consapevolezza della relazione sussistente tra queste due parti, dando spazio ad entrambe le parti di esprimersi pienamente. Quello che non stavo facendo era la facilitazione di una separazione delle parti (chiamato “unblending” in inglese, il processo attraverso il quale le parti danno spazio ad altri stati di coscienza) e, di conseguenza, non permettevo al Self di emergere ed entrare in gioco.

 

L’ introduzione della sedia del Self – the tecnica delle tre sedie

Solo quando ho cominciato ad accettare completamente l’idea del Self sono riuscito a risolvere il puzzle e spiegare come mai la tecnica delle due sedie funzionasse in alcuni casi e non in altri. Una discussione sul Self avrebbe bisogno di un intero libro. Per ora, lo descrivo come uno stato di coscienza, nel quale ogni persona può entrare quando le parti fanno spazio. Da questo stato, non esprimiamo giudizi e, invece, emaniamo calma, curiosità, compassione (ed altre qualità conosciute come le 8 C del Self).

È solo quando le parti entrano in relazione con il Self che è molto probabile che cambiamento e guarigione accadano. Senza presenza del Self, generalmente non si osservano miglioramenti. Di conseguenza, se le parti parlano tra di loro senza che il Self sia presente, queste parti molto probabilmente rimarranno nella loro posizione iniziale e non cambieranno.

Applicando la tecnica delle due sedie dal punto di vista della Gestalt, io stavo semplicemente incoraggiando le parti a parlare tra di loro senza mai verificare se il Self del cliente fosse presente mentre ascoltavo ciò che le parti si dicevano. Questo accadeva perché la Gestalt non ha il concetto di Self che ha IFS.

Sappiamo dall’IFS che è solo quando le parti si sentono capite dal Self e sentono la compassione proveniente dal Self che rivelano i motivi per cui non possono cambiare il loro comportamento e perché rimangono così ferme nelle loro opinioni. Cambiamenti accadono se le parti incontrano il Self del terapista o, ancora meglio, del cliente.

Era giunto il momento di aggiungere una terza sedia (virtuale o meno): la sedia del Self.

Questa volta, dopo aver invitato il cliente ad usare una sedia per unirsi con la parte che vuole lasciare il lavoro, e l’altra sedia per unirsi con la parte che non vuole lasciarlo, ho cominciato ad invitare il cliente a sedere su una terza sedia (vera o immaginaria) rendendo quella sedia esclusivamente disponibile al Self. Qualora il Self del cliente non fosse disponibile, il mio Self avrebbe preso il posto sulla sedia.

Ona volte che il Self era presente, ho cominciato a chiedere alle parti di non parlare tra di loro, ma di dirigere ogni comunicazione al Self durante la seduta. Questo era un qualcosa di rivoluzionario per me. La presenza del Self significa che queste parti, occupate (forse da anni) in una lotta interiore, potevano trovare, sulla terza sedia, un Self che, in tutta calma, comprendeva ed ascoltava ciò che la parte aveva da dire. Una volta che una parte si sente capita e si fida del Self, è probabile che essa riveli i veri motivi per cui non può cambiare il suo modus operandi, solitamente indicando traumi passati. Se, a questo punto, il Self dà compassione per la sofferenza della parte, la parte molto probabilmente accetterà l’aiuto ed il supporto disponibile dal Self e realizzerà che la situazione è diversa dal passato traumatico.

La tecnica delle tre sedie, quindi, invita esplicitamente le parti a parlare con il Self e ad ottenere dal Self ciò di cui hanno bisogno mettendo in pausa la lotta con la parte concorrente. Quando ciò accade, la parte ha raramente bisogno di continuare a combattere o a parlare con altre parti ed il blocco iniziale si dissolve. C’è, ovviamente, la possibilità che nella sedia del Self ci sia una parte che crede di essere il Self ed in questi casi è necessario l’aiuto di un terapista. Se il Self del cliente non è disponibile, il terapista mette prontamente a disposizione il suo.

 

Per concludere

L’introduzione dell’idea del Self è, secondo me, il pezzo mancante per spiegare l’efficacia imprevedibile del modo in cui la Gestalt lavora con le due sedie. Visto che cambiamento e guarigione accadono solo quando il Self (del cliente o del terapista) crea una connessione compassionevole con le parti sedute sulle sedie, terapisti che usano la tecnica delle due sedie per facilitare il dialogo tra le due parti senza la presenza del Self corrono il rischio di non generare alcun cambiamento.

Rattrista pensare che questi semplici concetti dell’IFS siano disponibili solo in un numero limitato di lingue, a parte che in inglese, e che siano accessibili sono a colori i quali sono capaci di parlare fluentemente in queste lingue. Questo privilegio significa che i paesi in cui si parla l’inglese hanno molti più vantaggi. Innanzitutto, perché i professionisti possono accedere a materiale e formazione senza barriere linguistiche e, inoltre, perché il pubblico può richiedere IFS come modalità di terapia, a sua volta spingendo i professionisti a capire ed usare il modello.

È un mio sogno quello di invitare tutti i terapeuti della Gestalt a studiare IFS ed a modificare la loro pratica da due a tre sedie indipendentemente dal paese in cui vivano. Anche se non pratico come psicoterapeuta in Italia, ricevo costantemente richieste da parte di gente italiana che vuole terapia IFS in italiano e, visto che il livello 1 non è ancora disponibile in Italia, queste persone non possono ricevere terapia IFS nella loro lingua madre.

Sono sicuro che l’Italia non sia l’unico paese in cui professionisti e potenziali clienti non possono accedere alla terapia IFS per problemi di lingua e spero che il modello IFS sia reso disponibile in quante più lingue possibile. Per una nazione come l’Italia, dove terapie molto tradizionali sono a disposizione, e dove la gente soffre da anni per motivi politici e sociali, il modello IFS contribuirebbe molto al benessere del paese.

Author

Alessio Rizzo is a Level 3 certified IFS psychotherapist specialised in gender, sexual and neuro diversity. www.therapywithalessio.com

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  • Alessio Rizzo

    Alessio is a Level 3 certified IFS psychotherapist specialised in gender, sexual and neuro diversity. www.therapywithalessio.com